Le sensazioni, le emozioni e i pensieri sono così tanti e complessi che la loro sommatoria tende all’immobilità, all’assenza. Allora porto l’attenzione su un elemento alla volta isolandolo. Cerco un indizio nella natura, nel canto degli uccelli, osservando le altre umanità che mi trovo intorno. Il luogo in cui seggo è stupendo, vibra alla mia stessa frequenza, è una mia porta. La panchina è logora, arrugginita, sgangherata e ha assunto una forma ideale per la mia schiena. Il tempo l’ha forgiata affinché oggi mi accogliesse. Sopra di me un albero di Caccamo che mi riporta all’infanzia. Il Caccamo è un pò il mio albero sacro. Vi sono già i frutti, quelli che usavo da bambino per la mia cerbottana. Alla base un formicaio, di quelli che ho sempre osservato durante la mia vita, fin da piccolo. Rappresenta l’aspetto sociale e collaborativo di questa esistenza. Attorno all’albero e al suo cerchio d’ombra abbastanza spazio soleggiato da mantenere gli altri ad una distanza opportuna, affinché non mi infastidiscano. Ad un metro da me vi è anche un cestino dei rifiuti, ammaccato, in perfetta armonia con il luogo e che inoltre assolve ancora alla sua funzione. Alla mia sinistra, a distanza, il parco giochi con i bambini che giocano. Le loro voci neutre e acute, la felicità dell’essere, nella loro percezione l’assenza del tempo e dello spazio. L’energia libera e incontrollata. Il tutto interrotto dall’intervento di genitori apprensivi che inquinano la purezza delle loro attività, ponendo vincoli alla loro espansione. Ogni intromissione, ogni interferenza è come un marchio a fuoco, indelebile, una possibilità negata, un velo che viene posto a coprire la loro coscienza, finché un giorno non ne perderanno la percezione. Alla mia destra la biblioteca, il luogo in cui si tengono eventi, simbolo dell’età adulta. Odo degli applausi, delle urla stridule, rozze ed invadenti. Lì governa il tempo e lo spazio, le regole e le strutture, la parzialità ed il compromesso, la mediocrità di questa esistenza. Da dietro invece mi raggiungono i rintocchi di una campana che mi informano sul trascorrere del tempo, qualora lo dimenticassi. Davanti a me, al centro dello slargo in terra battuta, la base di una colonna che non c’è più. Simboleggia le radici, le fondamenta a partire dalle quali tutto può essere costruito. Lo spazio che occupava la colonna adesso è vuoto, da riempire con infinite possibilità. La sua forma è cubica (Muladhara) e sopra l’accenno di ciò che sarà, che potrebbe essere. Nella porzione di spazio delimitata dall’ombra del Caccamo trovo una carta da gioco, di quelle leggere utilizzate dai prestigiatori. E’ un sette di fiori. Evento sincronico oggetto d’indagine.
The sensations, emotions, and thoughts are so numerous and complex that their sum tends towards stillness, absence. So, I bring my attention to one element at a time, isolating it. I seek a clue in nature, in the birdsong, observing the other human beings around me. The place where I sit is stunning, vibrating at my own frequency, it is my gateway. The bench is worn, rusty, rickety, and has taken on an ideal shape for my back. Time has molded it so that it could welcome me today. Above me, there’s a Caccamo tree that takes me back to my childhood. The Caccamo is somewhat my sacred tree. Its fruits are already there, the ones I used as a child for my blowpipe. At its base, an anthill, like the ones I’ve always observed throughout my life, since I was a child. It represents the social and collaborative aspect of this existence. Around the tree and within its shadow circle, there’s enough sunny space to keep others at a proper distance, so they don’t bother me.
A meter away from me, there’s a dented trash bin, in perfect harmony with the place and still fulfilling its function. To my left, at a distance, the playground with children playing. Their neutral and high-pitched voices, the happiness of being, in their perception, the absence of time and space. Free and uncontrolled energy. All interrupted by the intervention of anxious parents, polluting the purity of their activities, imposing constraints on their expansion. Each intrusion, each interference is like a branding iron, indelible, a denied possibility, a veil placed to cover their consciousness until one day they lose that perception.
To my right, the library, the place where events are held, a symbol of adulthood. I hear applause, shrill, rough, and intrusive shouts. There, time and space rule, along with rules and structures, partiality and compromise, the mediocrity of this existence. From behind, I hear the tolls of a bell that inform me of the passing of time, in case I forget. In front of me, at the center of the dirt clearing, the base of a column that is no longer there. It symbolizes the roots, the foundations from which everything can be built. The space it once occupied is now empty, to be filled with infinite possibilities. Its shape is cubic (Muladhara), and above it, the hint of what will be, what could be. In the portion of space delimited by the shadow of the Caccamo tree, I find a playing card, one of those lightweight ones used by magicians. It’s a seven of flowers. A synchronistic event subject to investigation.
Exactly.